Per gioco
Sai che poi io di bambini non ne ho avuti, dopo che Bea è stata al mare io non volevo più saperne niente, ma comunque non so se ne avrei voluti. Sì, perché tutti fan presto a dire che i bambini sono tutti bravi, ma non è mica vero. Io il gesto più cattivo che ho visto fare l’ha fatto un bambino; guarda se penso a Oreste mi viene un nervoso... Se vuoi ti racconto, altrimenti me lo tengo anche per me, non c’è mica problema.
Allora ti racconto.
Quando Genio mi aveva proposto il commercio delle acciughe, io non avevo niente, né carro, né chi il carro me lo tirasse, ma come ti avevo accennato l’altra volta, Genio era stato proprio gentile e mi aveva messo a disposizione quello che mi serviva. Il carro aveva due ruote grandi, più alte di me, che non sono una pertica, ma comunque quelle ruote mi superavano di una bella spanna. C’era anche posto da sedersi sul carro, ma io preferivo andare a piedi quasi sempre, mi sedevo proprio solo quando faceva quel caldo che senti l’aria calda persino in gola. Non era nuovo, ma era stato usato poco e bene, era proprio bello.
Quando Genio mi presentò Oreste rimasi subito colpito dal suo sguardo. Lo so, può sembrare una roba da ridere, ma i muli, come gli asini e i cavalli, hanno uno sguardo che ti entra dentro. Avevo capito subito che Oreste non era mica tanto contento di cambiare padrone e anche Genio mi aveva detto che avrei dovuto metterci santa pazienza, ma che poi saremmo diventati amici, ne era sicuro.
Va bene, pensai, facciamo amico con questo mulo. Non lo attaccai subito al carro e, su consiglio di Genio, passai qualche giorno al mare con lui, portandolo a spasso per quelle strade strette e pietrose. Ero contento perché alla sera vedevo Bea, anche se ormai avevo capito che guardarla era l’unica cosa da fare rimasta con lei. Ma mi andava bene così, perché la vedevo felice e, come ti dicevo, se vuoi bene a una persona, se lei è felice sei felice anche tu. Almeno per me era così. Ma non perdiamoci e torniamo a Oreste.
Una volta mentre lo porto a passeggio in una strada dietro al paese sai cosa mi combina? Mi guarda dritto negli occhi, se avesse potuto sorridere lo avrebbe fatto, e poi comincia a correre e mi scappa e va a finire in un campo di basilico lì vicino e si mette a saltare e a correre in mezzo a quelle piantine e le trasforma in pesto. Ero certo che lo avesse fatto apposta, perché dopo aver fatto quel danno è tornato da me, fissandomi negli occhi. Lo aveva fatto sicuramente apposta quel maledetto per sfidare la mia pazienza. E io poi ad andare a cercare il padrone di quel campo per chiedere come pagare il danno. Per fortuna quel contadino conosceva sia Genio, sia Oreste e me la cavai con la promessa di un paio di latte di acciughe. Un’altra volta, sempre durante una passeggiata, volevo portarlo un po’ verso la montagna e quindi dovevamo attraversare la ferrovia. E cosa fa Oreste? Si blocca in mezzo ai binari. Non c’era verso di smuoverlo. Ci eravamo messi in tre a spingerlo, a tirarlo, a offrirgli delle mele gialle che gli piacevano tanto, ma niente da fare, era inchiodato al terreno. Ed è rimasto lì per più di due ore, io avevo paura che arrivasse il treno. La mia paura divenne una cosa vera e Oreste continuava a stare immobile e a guardarmi. Quando il treno arriva a cinquanta metri da lui, bon, si ammorbidisce tutto e finisce di attraversare i binari. Ecco, questo per farti capire che tipo era Oreste.
Comunque, per farla breve, mi ci vollero due o tre settimane per fare amico con lui e dopo fu un’amicizia come mai più ne ho avute in vita mia.
Adesso ti racconto la storia di quei bambini.
La strada che facevo dal mare fino ad arrivare alle mie colline mi chiedeva sette giorni e, come ti ho già detto, facevo delle soste; se faceva bello mi fermavo dove capitava e dormivo anche all’aperto, non mi dispiaceva mica dormire sentendo il rumore dei prati intorno. Poi di notte anche i profumi sono più belli. Tre delle soste, però dovevo farle in paese, un po’ perché lo chiedeva la mia schiena e un po’ perché anche Oreste aveva bisogno di riposare come si deve e magari coricarsi un po’ su della paglia fresca. Il primo paese in cui fermavamo era ancora dalla parte del mare, voglio dire che non avevamo ancora scollinato verso la pianura e dalla piazzetta centrale il mare si vedeva ancora, anche se lontano. Non era mica brutto quel paese, sai? Chissà com’è diventato oggi, non sono mai più passato di là dopo quello che è successo a Oreste.
Pensa che non dovevo neanche dire a Oreste dove girare o che strada prendere, dopo aver fatto il percorso due o tre volte aveva imparato dove andare. I muli sono davvero come delle persone, a volte anche meglio. Poi Oreste non aveva paura di niente, a volte ci sorpassavano dei camion enormi, come i 3RO, quelli col muso lungo, e facevano un rumore da far tremare la terra e Oreste niente, non faceva una piega, non smetteva neanche di andare avanti. Dei temporali ti avevo già detto, no? Lui stava fermo e si prendeva tutta la pioggia o la grandine e anche quando tuonava vicino stava tranquillo. Ecco, Oreste mi dava tranquillità, per quello che gli parlavo. Ah, lui la sapeva tutta la storia di Bea, quante volte gliel’avrò detta, povero Oreste.
C’era però una cosa che lo spaventava e non so perché: il suono dei campanacci attaccati al collo di certe capre al pascolo. Quando vedevo da lontano le capre al pascolo dovevo cominciare ad accarezzare Oreste dietro le orecchie e dovevo farlo anche con una certa forza, solo così si calmava un po’. Genio mi aveva detto di questa cosa e anche lui non se la spiegava. Quando poi passavamo vicino alle capre, lui accelerava il passo per lasciarsele alle spalle il più presto possibile. Ma io lo sapevo e anche quello era diventato un problema gestibile. Senza pensarci troppo, avevo fatto cenno diverse volte a questa cosa agli uomini della locanda in cui facevo sosta, anche per avere un consiglio da loro, per questo quasi tutti sapevano che Oreste era terrorizzato dal suono dei campanacci.
Un giorno arrivo in paese, era un domenica di luglio, faceva molto caldo e andammo direttamente alla locanda per bere qualcosa. Pe prima cosa stacco il carro, che era ancora pieno, e poi lego Oreste a una specie di ringhiera di legno davanti al locale, sai proprio come quelle dei film di cowboy; era anche all’ombra, mi sembrava la posizione ideale per fermarsi e riposare un po’. Entro, dopo aver portato un secchio di acqua fresca a Oreste e ordino un’orzata, per me la bevanda più buona che c’è, specialmente quando fa caldo; forse ne ordinai anche due quella volta. Avevo quasi finito di bere, quando sento il rumore forte di un campanaccio e delle urla di ragazzo, non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Corro subito fuori, perché Oreste non lo avevo mica legato, non serviva perché tanto lui non scappava e vedo due ragazzi del paese, Davide e Giosuè, mi ricordo ancora i loro nomi, pensa te, che correvano dietro a Oreste facendo suonare fortissimo quel campanaccio.
“Scappa, scappa, stupido mulo!”, gli dicevano così e Oreste sembrava impazzito. Io mi misi a correre dietro di loro, stavano andando nella direzione della piazza, che dava direttamente sulla valle; non c’era alcuna protezione al bordo della piazza, sicuramente oggi ci sarà, e Oreste continuò a correre fino a cadere nel burrone che c’era lì. Mi misi a urlare tutti gli insulti che sapevo a quei due ragazzi, ma non avevo tempo per fermarmi da loro e corsi verso il burrone. Oreste non era precipitato fino al fondo, c’era una specie di sporgenza che sembrava un balcone e lui si era fermato lì. Era immobile, ancora un passo e sarebbe andato giù. Mi guardava, ma io ero almeno tre metri sopra di lui. Delle persone in piazza avevano visto la scena e allora non esitai ad andare giù da Oreste, sicuramente qualcuno sarebbe venuto a vedere. Non fu difficile raggiungerlo e cominciai ad accarezzarlo forte dietro le orecchie e pian piano si calmò. Ora potevo pensare a come fare a tirarlo via di lì. Come speravo, vennero due vecchi del paese e cercarono di tranquillizzarmi: “Dieci minuti e vi tiriamo su”.
Non sto a raccontarti nei particolari, ma dopo un po’, non proprio dieci minuti, ma va bene uguale, arrivò un trattore e con corde e cinghie tirarono su Oreste e me. Cosa dovevo fare secondo te?
Quei due, Davide e Giosuè, che erano pure fratelli, li avrei buttati giù dal burrone, ma se alla violenza rispondi con la violenza non è mai più finita. Comunque tornai alla locanda, questa volta Oreste lo legai e per prima cosa andai a cercare dei fichi maturi che a lui piacevano tantissimo. Ne trovai dieci e dodici e glieli diedi tutti. A quel punto sembrava un po’ più tranquillo, ma negli occhi gli leggevo ancora la paura, povero Oreste. Andai a cercare quei due maledetti. Li trovai dove immaginavo, nascosti dietro il muro della chiesa; erano seduti, silenziosi, forse si erano accorti di averla combinata grossa o forse avevano solo paura della punizione. Non dissi niente, mi avvicinai e li presi per la collottola, da dietro, ero abbastanza forte a quell’epoca e li sollevai da terra tutti e due. Li trascinai fino alla locanda e li sedetti di fronte a Oreste.
“Guardate negli occhi questa bestia, se siete tanto coraggiosi”.
Sai che non riuscivano a reggere lo sguardo del mio amico. Gli occhi andavano sempre a cercare un punto vicino alle loro scarpe bucate. Li costrinsi a stare lì dieci minuti, poi li feci alzare e li accompagnai a casa, che non era lontano dalla locanda. Quando arrivammo davanti alla casa, sentii un vocione da dietro che disse: “Cosa hanno combinato stavolta?”
Era Ettore, il padre, un omone che lavorava al mulino del paese, un bestione che era capace di portare sulle spalle un quintale e mezzo di farina. Gli raccontai la storia. Ettore ruggì, avvicinandosi ai ragazzi e disse loro di rientrare e che si sarebbero pentiti di quello che avevano fatto.
Io guardai negli occhi quei due e rividi il terrore che avevo letto in quelli di Oreste.
“Ettore, io credo ne abbiano già prese abbastanza in vita loro, non li picchi più”.
E me ne andai. Sì, perché se alla violenza rispondi con la violenza, non è mai più finita.
Comunque, sta di fatto che anche da quel paese lì non passammo più, ma siccome non succede niente per niente, questa cosa fu la nostra fortuna.
Se vuoi ti racconto poi anche quella storia lì.